La scuola di Armando

Biografia Armando Testa

Nato a Torino nel 1917, Armando Testa frequenta la Scuola Tipografica Vigliardi Paravia dove Ezio D’Errico, pittore astratto, gli fa conoscere l’arte contemporanea, a cui guarderà sempre con grande interesse. Nel 1937, a vent’anni, vince il suo primo concorso per la realizzazione di un manifesto, un disegno geometrico ideato per la casa di colori tipografici ICI.
Dopo la guerra lavora per importanti case come Martini & Rossi, Carpano, Borsalino e Pirelli. Lavora anche come illustratore per l’editoria e crea un piccolo studio di grafica.
Nel 1956 nasce lo Studio Testa dedicato alla pubblicità non solo grafica ma anche televisiva. Alcune delle aziende che si servono dello Studio Testa diventano ben presto leader di settore: Lavazza, Sasso, Carpano, Simmenthal, Lines. Vince nel 1958 un concorso nazionale per il manifesto ufficiale delle Olimpiadi di Roma del 1960. Rifiutata in un secondo tempo l’immagine proposta da Testa e indetto un secondo concorso nel 1959, vince anche questo.
Nascono poi, fra gli anni Cinquanta e i Settanta, immagini e animazioni filmate per la televisione che sono rimaste nella storia della pubblicità, legati a slogan entrati nel linguaggio comune: il gioco grafico fra bianco/nero e positivo/negativo per il digestivo Antonetto (1960); le perfette geometrie della sfera sospesa sulla mezza sfera per l’aperitivo Punt e Mes, che in dialetto piemontese significa appunto “un punto e mezzo” (1960); i pupazzi conici di Caballero e Carmencita per il caffè Paulista di Lavazza (1965); gli sferici abitanti del pianeta Papalla per Philco (1966); Pippo l’ippopotamo azzurro per i pannolini Lines (1966-67); e poi l’attore Mimmo Craig alle prese con gli incubi dell’obesità, su musiche di Grieg, per l’olio Sasso (1968); l’avvenente bionda Solvi Stubig per la Birra Peroni (1968).
Come primo riconoscimento istituzionale del suo lavoro, è invitato a tenere la cattedra di Disegno e Composizione della Stampa presso il Politecnico di Torino dal 1965 al 1971. Nel 1968 riceve la Medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione per il suo contributo all’Arte Visiva, mentre nel 1975 la Federazione Italiana Pubblicità gli tributa la Medaglia d’oro come riconoscimento per i successi conseguiti all’estero.
Nel 1978 lo Studio Testa diventa Armando Testa S.p.A. che negli anni seguenti apre le sedi di Milano e Roma e continua a siglare campagne pubblicitarie di grande successo. Dalla metà degli anni Ottanta Testa, oltre che nella pubblicità vera e propria, si impegna nell’ideazione di manifesti per eventi e istituzioni culturali e di impegno sociale, da Amnesty International alla Croce Rossa, dal Festival dei Due Mondi di Spoleto al Teatro Regio di Torino. Realizza anche i marchi che contrassegnano enti culturali come il Salone del Libro e il Festival Cinema Giovani di Torino, e il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. La sua agenzia diventa la più grande fra quelle operanti in Italia in quel settore, con sedi nelle più importanti nazioni europee.
Si dedica ad una ricerca grafica e pittorica di libera creatività negli anni Ottanta e Novanta. La pubblicità viene ormai studiata come forma autonoma di espressione e comunicazione, e diverse istituzioni italiane e straniere dedicano a Testa mostre antologiche, che spesso comprendono la sua attività pittorica. Vanno ricordati il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano nel 1984, la Mole Antonelliana di Torino nel 1985, il Parson School of Design Exhibition Center di New York nel 1987, il Circulo de Bellas Artes di Madrid nel 1989. Sempre nel 1989 diviene “Honor Laureate” presso la Colorado State University di Fort Collins.
Armando Testa muore a Torino il 20 marzo 1992, tre giorni prima di compiere settantacinque anni. Tra le mostre a lui dedicate dopo la sua scomparsa, le personali di Palazzo Strozzi a Firenze nel 1993, del Museo di Arte Contemporanea di Rivoli e Castel Sant’Elmo nel 2001 e all’Istituto Italiano di Cultura di Londra nel 2004.

La filosofia creativa

Spesso, quando qualcuno mi chiede dei miei inizi, dico che sono nato povero, ma moderno. A 14 anni sono entrato in tipografia per fare l’apprendista compositore. Pur lavorando in un ambiente vecchio e tradizionale, ero curiosissimo di scoprire quanto di nuovo c’era in giro e leggevo tutte le riviste che mi capitavano sotto mano: la curiosità è il primo scalino verso la creatività. Con mia grande gioia frequentavo la scuola tipografica serale, dove avevo per insegnante Ezio D’Errico, uno dei dieci pittori astratti italiani di allora. Inutile dire che mi innamorai dell’astrattismo e di tutto il mondo dell’arte moderna. Questa passione per le tendenze più nuove in campo grafico e pittorico e l’amore istintivo per l’arte astratta hanno contribuito a formarmi una cultura. Una cultura non razionalmente costruita, ma che proprio per questo mi consente oggi di trovarmi in una situazione di assoluta libertà rispetto alla “cultura ufficiale”.

Davanti all’immagine non ho preconcetti basati sul contenuto o sul contesto storico; guardo opere millenarie con gli stessi occhi e lo stesso approccio con cui giudico l’arte degli anni Novanta: guardo la forma, il colore, il segno. In fatto di creatività sono curiosissimo, mi piace guardare tutto: dall’impaginazione grafica al manifesto dipinto, dal fotocolor alla scultura all’happening visivo. Mi piacciono i lavori di Richard Serra come i dipinti di Lucien Freud. Da un lato ho vissuto da vicino tutte le sperimentazioni dell’arte, dall’altro il mestiere di pubblicitario mi ha imposto le dure leggi del marketing e l’obbligo di comunicare in modo semplice e piacevole per riuscire a “parcheggiare” nella memoria di tutti i consumatori. Come pubblicitario sono da sempre abituato a passare giorni e settimane a studiare lo slogan di un detersivo o di un altro prodotto, comunque effimero, a prodigare il mio tempo ed il mio cervello per creare messaggi chiari ed immediati e, salvo rarissimi casi, non posso consentirmi il vezzo dell’ambiguità.
Nei miei manifesti, nei miei messaggi pubblicitari ho sempre cercato la sintesi, l’impatto espressivo, invidiando talvolta alla cosiddetta arte pura proprio la possibilità di giocare sull’ambiguo, sul non definito. Nei miei lavori grafici, non pubblicitari, qualche volta mi sono concesso di puntare sulla complicità dei segni, sull’equivoco dell’immagine, divertendomi ad interpretare quegli stessi prodotti che quotidianamente sono esaltati dall’advertising. Sono costantemente inquieto, quello che mi piace oggi non so se mi piacerà ancora domani. Quando sono di cattivo umore, scarabocchio e il cattivo umore mi passa: la creatività è una cosa meravigliosa.
Armando Testa

La scuola di Armando

Conservo un ricordo di mio padre come di un innovatore poliedrico, un uomo mai limitato da una sola visione delle cose. Ogni volta che guardo alla sua storia e alla sua carriera trovo conferma di questa vena creativa multiforme. Pubblicitario di successo, artista sperimentale e oggi – come questa Mostra racconta – anche interprete di una originale visione del mondo del design. Un mondo ricco di stimoli quello di Armando Testa. Certo, come in tutti i grandi personaggi della cultura e dell’arte, anche in lui è possibile identificare un fil rouge concettuale che ne compatta e determina il percorso inventivo, e questo fil rouge è la ricerca visiva. Sia essa applicata alla comunicazione commerciale tanto quanto alla rappresentazione pittorica, come all’esplorazione degli oggetti tridimensionali. Qualunque fosse la sfida che in un determinato momento lo coinvolgeva, la creatività di mio padre era estremamente mobile e aperta ai tanti aspetti diversi del linguaggio dei segni, ma anche della vita e delle emozioni.

Il risultato sono lavori in cui l’arte e il quotidiano sono fortemente interconnessi e collaborano fra loro in nome della sintesi, della semplicità del risultato e al tempo stesso della sua indiscussa originalità. Mio padre amava stupire l’occhio, sorprendere il cuore, divertire la mente. E quasi sempre ci riusciva. Per me e per i suoi collaboratori che lo osservavamo al lavoro, ogni giorno era una lezione da portare nella memoria. Si stava lì, incantati dalla sua disinvoltura nell’accostare sotto i nostri occhi elementi e culture tanto diversi fra loro. Lo seguivamo affascinati dai suoi schizzi, dai suoi ragionamenti, dalle sue battute fulminanti. E alla fine della riunione, ecco che sul tavolo prendeva forma il nuovo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. A volte una campagna, a volte un packaging, a volte il bozzetto per un quadro o per un oggetto che poi, naturalmente, sarebbe stato visto e rivisto più volte prima di essere considerato finito.
Perché Armando Testa, se da una parte non limitava le fonti e i riferimenti colti verso i quali si ispirava, dall’altra non perdeva mai l’occasione per ricordare a tutti noi l’importanza delle idee semplici come forma di rispetto verso il pubblico finale. Per questo rifiniva e rivedeva le sue creazioni con una cura quasi maniacale. Chiedeva spessissimo pareri a tutti su ciò che stava preparando. Si interessava agli eventuali dubbi che gli venivano posti con un’umiltà da apprendista, anche quando si trovava al culmine della sua carriera. Voleva semplicemente, da quel grande comunicatore che era, che nessuno mai potesse non comprendere il messaggio che lui stava preparando. Si sentiva al servizio del pubblico e per questo era pronto ogni volta a rimettere in discussione tutto.
Nessun dubbio: Armando Testa stava dalla parte di chi guarda. Ne ha fatto una filosofia di vita e di lavoro, oltre che il titolo di un suo bellissimo libro. Con questi presupposti, il passaggio dal talento dell’artista alla nascita di una vera e propria scuola di comunicazione firmata Testa è stata per tutti noi una evoluzione naturale. Una bellissima avventura umana e professionale. Il piccolo studio grafico degli inizi diventa così negli anni una famosa agenzia di pubblicità, che più avanti e sull’onda di continui successi si trasforma in quello che oggi rappresenta sul mercato: il palazzo della Comunicazione, gruppo integrato di pubblicità leader del nostro Paese.
Oltre al risultato imprenditoriale, che indubbiamente ci gratifica tutti, la cosa che mi entusiasma di più quando mi volto indietro per ripercorrere la nostra storia è proprio il vedere immutato anche ai nostri giorni quello “Stile Testa” nell’affrontare le sfide creative. Sono passati cinquant’anni dalla nascita dell’agenzia e guardandomi intorno vedo che è cambiato tutto: contesto, linguaggi, professionalità e tecnologie, prodotti e consumatori.
Ma quell’approccio poliedrico – oggi si direbbe integrato – di pura creatività, di sintesi semplice ma mai banale vicino al cuore e alla mente delle persone, non è fortunatamente cambiato di una virgola dai tempi di Armando. Lo stesso approccio che ha dato vita agli oggetti di questa mostra come a mezzo secolo di memorabili campagne, lo stesso che ci dà l’orgoglio di definirci “scuola”, cioè una cultura, qualcosa di più di una semplice azienda.
E sono certo che finché questo spirito farà parte del nostro modo di vedere le cose, continueremo a crescere e a innovare, a parlare a tutti con la forza delle idee. Insomma a stare dalla parte di chi guarda, come direbbe Armando.
Marco Testa